Elementi della musica per immagini

“Don Juan” (Alan Crosland, 1926), il primo film della storia
accompagnato da una componente sonora (musica inclusa).

Ci sono diversi elementi da considerare quando si parla di un brano scritto o adattato a sequenze cinematografiche, che potremmo definire narrativi e descrittivi: timbro, indicatori etnico-geografici, ritmo e onomatopea.
Ma prima di analizzarli, è fondamentale parlare di livelli.

Livello interno, livello esterno, livello mediato

Lo studioso Sergio Miceli ha identificato i principali livelli della colonna sonora, classificandoli in maniera efficace e molto chiara nella sua semplicità.
Quando la musica è presente “in scena”, e viene ascoltata e/o suonata direttamente dai personaggi, si parla di livello interno. A volte è significativa perché ha a che fare con la situazione, l’atmosfera, o con le emozioni dei protagonisti; altre volte è più casuale, meno agganciata al contesto.
Quando la musica viene udita solamente dallo spettatore, abbiamo a che fare con il livello esterno. Quest’ultimo si può presentare in due forme: acritico e critico. Nel primo caso, il più usato, la musica segue e commenta empaticamente la sequenza, mentre nel secondo crea volutamente un contrasto tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo (in tutti i sensi).
Spettacolari esempi di livello esterno critico furono usati da Stanley Kubrick in A Clockwork Orange (Arancia meccanica, 1971), dove le scene di assoluta violenza dei protagonisti sono accompagnate da musica classica leggera e spensierata. Il risultato è angosciante perché lo spettatore avverte, consciamente o meno, lo stridere di due emozioni contrastanti, scelta senz’altro funzionale allo scopo del film.
Interessante poi quello che Miceli chiama livello mediato: la musica è qui utilizzata con un processo di mediazione, filtraggio, contaminazione, e produce interattività all’interno del racconto. Il tema, come una soggettiva sonora, sostituisce parole, pensiero, ricordo. “È una pratica che viene utilizzata quando il tema proposto è già comparso, a livello interno o esterno, e si suppone lo spettatore l’abbia associato ad un determinato momento; sentirlo di nuovo significa, da parte sua, ripescare dalla memoria quel momento e associarlo alla nuova situazione, eseguendo quindi un processo di identificazione con il personaggio.”

Proponiamo, nel prossimo video, due esempi molto particolari di livello interno ed esterno.
Il primo è da Reservoir dogs (Le iene, Quentin Tarantino, 1992). È senz’altro un livello interno, ma ha un notevole sapore critico: la radio che ascolta Mr. Blonde manda “Stuck in the middle with you”, ma il suo andazzo allegro e leggero contrasta terribilmente con la tortura che sta eseguendo.
Il secondo è una sequenza di C’era una volta il West (Sergio Leone, 1968), e rappresenta un interessante esempio di livello mediato. Il personaggio interpretato da Charles Bronson viene chiamato Armonica, perché suona quello strumento nelle scene (livello interno); e quando non lo fa, lo spettatore lo sente comunque (livello esterno), come nella scena del duello finale contro Frank (Henri Fonda). Scopriremo che Armonica è tormentato dal tema che lo accompagna, legato ad un cruento episodio della sua infanzia che coinvolge direttamente il suo avversario.

Timbro

Tecnicamente, il timbro è determinato dagli armonici che accompagnano il suono fondamentale. Più semplicemente, è la qualità che ci permette di identificare chi o cosa sta emettendo una determinata nota. Se lo stesso Do viene suonato da un clarinetto, da un banjo, da un oboe o da un corno francese, avrà un colore diverso, determinato dalle frequenze di cui è composto: il clarinetto produrrà una nota più morbida degli altri due strumenti, avendo più armonici medio-bassi. Il corno sarà più scuro, il banjo più brillante, l’oboe più nasale.
Anche considerando uno stesso strumento, esso può emettere suoni con sfumature timbriche anche molto diverse: la nostra stessa voce può essere modulata tale da risultare stridula, sensuale, goffa, dolce, aggressiva.
Il timbro è evidentemente una delle caratteristiche che un compositore può considerare per commentare una sequenza di immagini, perché è in grado di influenzare l’atmosfera e le sensazioni di chi ascolta. Spesso uno stesso identico tema può essere arrangiato e orchestrato con strumenti diversi, come accade in Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany, Blake Edwards, 1961). Le due versioni di Moon River (Henry Mancini / Johnny Mercer) che qui presentiamo hanno sfumature abbastanza differenti.
Nei titoli di testa la melodia è suonata dall’armonica e dalla sezione archi, ed è accompagnata da un coro: il risultato è malinconico, sognante, mieloso, quasi “Disneyano”, ma con un finale con flauti e vibrafono dal sapore “interrogativo”. La protagonista è vestita in modo estremamente elegante, ingioiellata e nascosta da grossi occhiali da sole, ridondante come la musica che la introduce.

“Moon River” nei titoli di testa

La seconda versione è quella cantata da Audrey Hepburn: seduta alla finestra, vestita semplicemente, l’attrice si accompagna con una chitarra donando alla canzone un tono dolce e malinconico, ma più intimo ed autentico che nell’incipit del film. L’entrata degli archi nella seconda strofa, pur aumentando il pathos, non rende patetica l’esecuzione.

“Moon River” cantata da Audrey Hepburn

Indicatori etnico-geografici

Consapevolmente o meno, tutti sono in grado di riconoscere più di un genere o tipo di musica, e associarne la provenienza geografica: questo perché, culturalmente, gruppi etnici e sociali utilizzano strumenti ed elementi musicali particolari. In Iran, India o Bali, ad esempio, vengono usati sistemi diversi dal temperamento equabile, che ad un orecchio occidentale risultano “stonati”, ma per questo immediatamente associabili a qualcosa di esotico. In Africa dominano le percussioni e le voci, l’armonica ricorda il blues, bicordi costruiti sulla scala pentatonica ci proiettano in Cina. Troviamo quindi perfettamente logico udire uno swing in una pellicola ambientata durante il proibizionismo negli Stati Uniti, così come un valzer intonato da una fisarmonica in una commedia francese.
Chiaramente, indicatori musicali di questo tipo contribuiscono a contestualizzare il film e a rinforzare la sua coerenza narrativa, fornendo allo spettatore elementi culturali e geografici che rendono più completa la fruizione dell’opera.

Possiamo qui apprezzare il sapore mediorientale del tema composto da Maurice Jarre per Lawrence of Arabia (Lawrence d’Arabia, David Lean, 1962).

“Lawrence of Arabia – Overture”

Nel prossimo esempio, tratto da Mediterraneo (Gabriele Salvatores, 1991), i compositori Giancarlo Bigazzi e Marco Falagiani utilizzano strumenti della tradizione greca, in linea con l’ambientazione del film.

“Mediterraneo – L’arrivo”

Ritmo

Questo elemento ha senza dubbio grande rilevanza, perché è in grado di assecondare o meno la cadenza del montaggio. Tipicamente, quando pensiamo alla scena di un inseguimento o di una battaglia, difficilmente le assoceremmo un brano compassato, ma più probabilmente uno concitato. Così come in una scena amorosa o in uno slow motion, non ci aspettiamo un indiavolato rock’n’roll, ma un commento con un andamento languido, o rarefatto.
Generalizzando, il metronomo della musica “deve” in un certo senso coincidere con quello dell’azione. Il battito stesso del cuore scandisce quello che potremmo chiamare il nostro ritmo emotivo: è ben noto che quando avvertiamo un pericolo (potenziale o presente), l’adrenalina aumenta la frequenza cardiaca per rendere il corpo più reattivo e aumentarne le prestazioni fisiche. Al contrario di quando siamo rilassati, con le pulsazioni e la circolazione sanguigna “a riposo”.
Stiamo parlando di una dimensione insieme emotiva e fisiologica: il ritmo può guidare ciò che percepiamo a livello praticamente inconscio. Del resto, quante volte ascoltando una musica coinvolgente, la seguiamo mettendo in moto una mano, un piede, la testa, senza nemmeno accorgercene?

Un ottimo utilizzo del ritmo lo possiamo osservare nella prossima sequenza, tratta da Spartacus (Stanley Kubrick, 1960). La musica di Alex North segue l’azione: gli eserciti che si stanno posizionando sono accompagnati da un senso di minacciosa attesa, che si movimenta con le prime cariche a 00:42, e si trasforma in concitazione a 00:54, assecondando l’attacco furioso degli uomini di Spartaco.

Onomatopea

L’onomatopea è definita come la creazione, in una lingua, di “elementi lessicali che vogliono suggerire acusticamente, con l’imitazione fonetica, l’oggetto o l’azione significata.” Nella musica questa pratica è molto utilizzata; pensiamo a esempi celebri come La gazza ladra (Gioacchino Rossini), Il volo del calabrone (Nicolaj Rimskij-Korsakov), Pierino e il Lupo (Sergei Prokofiev). D’altronde non è certo difficile considerare musica un canto di usignolo, un gocciolio cadenzato, un frinire di cicale.
Nel cinema gli esempi si sprecano, perché sono davvero una fonte d’ispirazione assoluta per i compositori: il “canto del coyote” di Morricone ne Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, 1966) è talmente celebre che lo citiamo solamente; più curiosi e forse meno noti gli esempi che riportiamo qui di seguito.

I titoli di testa di Roma ore 11 (Giuseppe De Santis, 1952) sono accompagnati dal Concerto per quattro macchine da scrivere e orchestra di Mario Nascimbene. Il film tratta di dattilografe in cerca di un impiego, e il compositore pensò, come già avevano fatto autori come Satie e Hindemith, di usare la macchina da scrivere come strumento musicale utilizzandone gli elementi ritmici e timbrici (percussione dei tasti, spaziatura, suono del campanello, movimento del carrello).
Molto divertente il sogno del protagonista di Les belles de nuits (Le belle della notte, René Clair, 1952, musica di Georges Van Parys), dove sogna di assistere all’esecuzione di un suo concerto per orchestra e oggetti come aspirapolvere, clacson, motocicletta e martello pneumatico.

Io stesso ho utilizzato l’onomatopea per i titoli di testa del cortometraggio del 2022 “Imagina” (Gala Beauty Queen, Ricardo Silva Ortega), che inizia con una macchina da cucire in funzione. Ho costruito quindi un loop con suoni degli ingranaggi, che introducono un’atmosfera giocosa e innocente come il piccolo protagonista.

Post Scriptum

Questo articolo non ha l’ambizione di elencare tutti i possibili elementi e le molte variabili della musica per immagini. Ne abbiamo considerato alcuni che si dimostrano senza dubbio rilevanti dal punto di vista:
– del compositore, perché possono ispirarlo e guidarlo nella creazione di un degno commento sonoro;
– del regista, perché possono assecondare o contrastare ciò che ha in mente, rinforzandolo o creando (volutamente) una dissonanza;
– dello spettatore, perché lo rendono capace di immergersi pienamente nell’opera a cui sta assistendo.
Detti elementi hanno a che fare con gli aspetti narrativi ed emozionali del film, ma non solo: la musica ha un potere evocativo incredibile in termini di sensazioni, luoghi, atmosfere, epoche storiche, e qui abbiamo cercato di sottolinearne l’importanza.
E, nel nostro piccolo, di omaggiarla.


FONTI

Livello interno, esterno (critico e acritico), mediato:
S. Miceli, Musica e cinema nella cultura del Novecento, Milano, Sansoni, 2000
Il virgolettato nel paragrafo del livello interno è tratto dal mio La musica in-visibile.

Definizione di “onomatopea”:
https://www.treccani.it/vocabolario/onomatopea/

Pubblicato da Alessandro Sicardi

Compositore, appassionato (e studioso) di cinema.